Odiare

di Roberto Albini

Ci ho pensato è sono arrivato alla conclusione che l’odio è l’unica cosa che si possano permettere i poveri. In verità ho avuto difficoltà a trovare la parola adeguata per identificare i soggetti dell’analisi. Una volta, fino a non molto tempo fa, era facile individuare tra la gente i “poveri”, e pure io, che non sono nato nell’Ottocento, quando penso ai “poveri” mi viene in mente un tizio vestito di cenci che vive in una baracca polverosa, senza un’occupazione se non quella di passare le giornate a mendicare davanti alle chiese. Adesso quelle stesse persone hanno una busta paga, per questo tecnicamente non sono “poveri”, così mi era venuto in mente un altro termine, anch’esso caduto in disuso: “proletariato”. Mi piace immaginare che questa parola derivi da “prole”, gente con tanti figli, come facevano prima i “poveri”. Una cosa tipo “operatore ecologico” al posto di “spazzino”. Ma adesso i figli non li fa più nessuno, abbienti o meno, ossia solo i nuovi “proletari”, ancora pochi, per quanto se ne dica, per poter diventare una figura retorica. Allora i sinonimi che mi sono venuti in mente sono stati “salariati”, “operai”, “lavoratori”, tutti concetti che mi ricordavano le guerre puniche, la Fiat, i ragionieri. Tutta roba estinta come i dinosauri.
A quel punto ho sorriso perché ho capito che i “poveri” in questo inizio secolo non hanno un nome. Per questo nessuno ne parla più, di noi, perché i “poveri”, in questo inizio secolo, sono sempre altri e non li trovi mai nei call center, né nei treni regionali alle sei della mattina e neppure nei centri commerciali la domenica a fare gli scontrini. I “poveri” vengono da lontano, o dal sud, o dal paese vicino, si bucano, oppure girano con i camper. Milioni di gente pagata in ticket restaurant, ma nel nostro immaginario collettivo il “povero” è ancora quel tizio cencioso davanti la chiesa, e non il tuo vicino di casa che incontri la mattina dal tabaccaio con un Grattta e vinci in mano.
Alla fine, quindi, mi sono arreso, e ho iniziato a ragionare anche io in termini di “poveri”.
L’amore è roba da ricchi. Bisogna spenderci tante energie, bisogna attraversare decine di cene, vacanze, rose indiane in localetti di zone universitarie, bevute mozzafiato, perché nessuno di noi si è mai innamorato seduto su un divano bucato mentre guarda “Ulisse, il piacere della scoperta”. La rabbia sarebbe un sentimento a buon mercato, ma per provarla si ha bisogno di un destinatario, un’entità sulla quale scagliare le nostre frustrazioni. Però noi siamo fantasmi, fantasmi senza nome che ululano alla luna, come lupi smarriti nella foresta. Il nemico è confuso, a volte inventato, a volte solamente ipotizzato. Il sistema ha smesso di essere l’antagonista, al demonio non ci crede più nessuno, i soldi danno la felicità. C’è gente che in preda al panico se la prende con i pescatori di trote. Forte e a buon mercato è la nostalgia. Si rimpiange qualsiasi cosa pur di non immaginare più niente. E ognuno ha un mondo fantastico dove ha racchiuso un’era d’oro dell’umanità, un periodo mai esistito e sempre sperato, in cui le cose andavano meglio quando andavano peggio e che magari tornassero quei tempi. Ma quando guardi indietro, vedi solo bombe atomiche, schiavi, morti nelle miniere, eternit, donne con i fazzoletti in testa che tornavano a casa alle cinque del pomeriggio.
C’è rimasto solo l’odio, per noi poveri.
E’ una cosa che trovi facilmente in ogni posto, in ogni momento. Per amare una persona ci vogliono mesi, a volte anni, per odiarne una basta un attimo. L’odio non ha bisogno di nessun antagonista: possiamo economicamente odiare tutto il mondo, o solo lo spigolo del tavolo che urtiamo tutti i giorni. Costano alla stessa maniera. Per odiare non serve nessuno sforzo culturale, né fisico. Anzi viene meglio se lo fai senza esserti informato e seduto sulla tua scrivania davanti a un computer. Più l’oggetto del nostro odio è insignificante, più ci riesce meglio farlo. Per questo lassù, da qualche parte nel mondo, anche in questo momento, c’è un tipo in costume da bagno con un cocktail in mano che guarda il cielo e pensa a come è fortunato a vivere in un’epoca in cui la ghigliottina è considerata incivile, e l’idea di pagare un lavoratore meno di quanto gli costa l’affitto di casa no.