Cappadocia
di Roberto Albini
E’ una mattina macchiata di caldo flaccido in un’insolita estate fredda. Le cornacchie s’insultano a vicenda da qualche parte laggiù oltre i palazzoni, e io respiro profondamente. E’ un giorno importante, e i giorni importanti vanno saputi riconoscere. Penso sia una dote della maturità saper distinguere i momenti che contano da quelli normali. Per questo gonfio i polmoni con gli occhi chiusi davanti al portone di casa, ed inspiro lentamente. Mi gira la testa, l’ossigeno ubriaca. Alle nove e quarantacinque ho un appuntamento col professore con il quale dovrò sostenere l’ultimo esame della mia carriera universitaria. E lui non è un professore normale, lui è Adolfo Berardinelli. Un luminare, uno scienziato riconosciuto a livello planetario, un innovatore della scienza della comunicazione, quattro volte candidato al Nobel, migliaia di pubblicazioni. Berardinelli è dio. E dio sta per giudicarmi.
Arrivare a lui m’è costato due anni di leccate di culo michelangiolesche al suo assistente, un’alga che ha imparato a parlare grazie alle radiazioni emanate dal proprio cellulare.
Devo ringraziare solo la mia forza d’animo se sono riuscito a sopravvivere a tutte quelle cazzo di serate maratona “Star Wars”, a mangiare quei suoi spaghetti al ketchup che solo a ricordarli mi tornano le coliche. Però poi un giorno l’alga mi fa: “Ha detto che si può organizzare, ma alla fine di luglio, di mattina. Prendere o lasciare”. E io prendo, certo che prendo brutto idiota. Subito dopo la prima cosa che faccio è pubblicarmi un selfie su Facebook mentre con le dita faccio la “V” di vittoria. “Chiamatemi Dottore”, ho scritto. Dopo a pioggia inizio a raccontarlo a chiunque sento o incontro. A casa mia Adolfo Berardinelli è già visto come una specie di supereroe con l’unico potere di dare un futuro al figlio, che tanto se non può salvare l’umanità a loro non importa. Io conto molto di più. Con la mia ragazza progetto un mega viaggio ad Amsterdam per festeggiare, mentre con gli amici ci mettiamo d’accordo per una cena al Pergolato d’Oriente, il ristorante giapponese più caro del quartiere. Queste cose capitano una volta sola nella vita. Chiunque mi conosce sa che mi sto per laureare, che anzi sono già praticamente laureato e che a interrogarmi sarà uno che non sanno chi è ma deve essere importante da come ne parlo.
Inizio a studiare come un dromedario: testa bassa, gobba da intellettuale. Le informazioni si fissano in maniera naturale dentro la testa attratte da una forza misteriosa. Sento una strana energia fluirmi dentro, forse è quella consapevolezza alla quale accennavo prima di saper individuare il momento cruciale, e potersi permettere di guardarlo negli occhi, senza temerlo, sicuri di poterlo afferrare. Deve essere a causa del ricordo di questa sensazione che ci manca così tanto la gioventù.
Espiro e inspiro per una decina di volte, e lascio mi passi la vertigine, poi mi metto in cammino.
Alle otto e trentasette, quasi un’ora prima rispetto l’orario dell’appuntamento, mi trovo già seduto su un banco della prima fila di un’aula sperduta nei meandri più profondi e umidi dell’università. Non sono nervoso. Me lo ripeto: non sono nervoso. Ma le mani mi sudano, è un maledetto malfuzionamento del mio corpo, questo per chi ancora crede la natura sia perfetta. Tutti ne abbiamo uno, nasciamo così, difettosi. Il mio guasto congenito sono queste mani che trasudano sudore in eccesso al primo sintomo di emozioni fuori norma. Comprese quelle sessuali. Dalla porta entra l’alga parlante che mi saluta stringendomi la mano. Io lo guardo, mi imbarazzo, e allora sudo di più. Lui mi da una pacca sulla spalla, forse per pulirsi, e va a sedersi sulla sedia accanto alla cattedra. Subito dopo entra lui: Berardinelli in persona. Mi alzo in piedi e mi avvicino per salutarlo, ma lui alza un braccio con un cenno come volesse scacciare un insetto.
Berardinelli insegna Sociologia dell’intimismo, e io mi sono informato sui suoi autori preferiti, a chi si ispira. Mi sono letto tutte le opere di Gothanam Von Gast, il suo scrittore preferito, in lingua originale e tradotte. Ho letto tutti i libri, le pubblicazioni, perfino le interviste di Berardinelli. Devo solo rimanere calmo, razionale. Non c’è alcun motivo per il quale l’esame non dovrebbe riuscire. Il resto è solo frutto della mia emotività.
Mi alzo e resto in piedi davanti alla cattedra, faccio un accenno d’inchino con la testa. Il professore guarda l’alga che sorride. Gli domanda come mi chiamo. Annuisce, ma per cortesia, ha lo sguardo vuoto, pensa ad altro. Poi si volta verso di me e mi osserva mentre si gratta la testa. Rimane fisso in a grattarsi, con le mani impastate in una mistura di peli umani, lacca, cera, e chi sa quale altro organismo, e non mi dice una parola. Non so dove dirigere lo sguardo, passano i minuti e lui ancora non smette di grattarsi. All’improvviso batte un colpo sulla cattedra e mi dice: “Bene, ha la faccia intelligente lei. Farà carriera. Mi parli della Cappadocia”. Io sorrido. Lui no.
Cerco di nuovo l’aiuto dell’alga, che però deve trovarsi troppo distante dal suo cellulare. Deglutisco, provo a respirare ma non ci riesco. Ho come un fagiano con tutte le pene in gola. Domando, con un filo di voce, giusto per essere sicuro di aver capito bene: “Cappadocia?”. Lui annuisce.
Quando torno a casa, sul portone c’è una coccarda rossa. L’ha appesa mia madre, sicuramente. Appena entro sento rimbombare nell’androne il vociare scomposto di gente che si sta divertendo. Viene dal mio appartamento. Tra poco dovrò dirgli che non ce l’ho fatta, che non si festeggia, non si viaggia, non si mangia. E quando mi chiederanno cosa è successo, se voglio essere credibile, dovrò inventarmi una verità che non può essere la verità. Nessuno è preparato all’impossibile probabile.
Dirò che mi ha rivolto una domanda su un argomento non studiato, che queste cose succedono.
Che ci riproverò.
Chiederò scusa.
Ammetterò che è colpa mia, e che mi dispiace tanto.
Cos’è la Cappadocia?
Non sei di Roma vero?
http://it.wikipedia.org/wiki/Cappadocia
No, non sono di Roma. Ma cos’è la Cappadocia?
(Qualunque cosa io dica o faccia, è una minchiata. I dottori consigliano di non darmi troppa corda, o rischi che ti faccia sudare più del tuo professore. :D)
E chi sono io per mettermi contro la medicina? :)
che c’entra il non essere di roma?!?
Perché Cappadocia compare in un detto popolare…
massima solidarietà. anch’io nel mio percorso universitario inciampai in un “luminare” analogo al tuo (che peraltro non avevo mai sentito nominare, e avendo studiato Scienze della Comunicazione anch’io, mi pare di capire che non è un buon segno), e onestamente, con il senno di poi, mi son pentita di non aver chiesto la tesi in una materia meno densa, ma il cui docente fosse un minimo più easy …
Il problema è che io non sono laureato, non ho mai frequentato un’università, e questo racconto è solo un’invenzione. Invece tu Berardinelli l’hai conosciuto sul serio :)
:P
:)
Eh beh, uno che accetta di sottostare alle maratone di Star Wars e agli spaghetti al ketchup, si merita questo ed altro :)
Non è colpa mia! E’ la società che mi vuole così!
Accidentaccio, dannato Cappadocia!
Tu conosci il signor Cappadocia?
Conosco la Cappadocia per le elementari!
Io per i burini che da lì provengono :)
Mi sono sempre chiesto se posso configurare “burino” nonostante i natali a Tor Tre Teste.
Burino di frontiera. Tor Tre Teste è una specie di Tijuana d’occidente.
Ma poi ho vissuto a Primavalle e Boccea!
Da una frontiera all’altra!
Da quella opposta alla mia per tua fortuna. Prima o poi ti avrei invaso. Ci tengo al dominio del territorio.
Non lo so, noi di confine siamo molto duri e coriacei, non facili da abbattere!
Tipo le cozze. Allora con un po’ d’aglio il gioco è fatto.
Sarebbe stato da vedere, purtroppo cosí non è e quindi non si saprà mai!
Mi hai fatto venire voglia di cambiare casa…
Io l’ho fatto!
E sto anche cercando di cambiare corpo!
Facciamo a scambio. Ci stai? Senza vedere che ti tocca. Uno, due e tre e chi ci ha rimesso ci ha rimesso…
Non sono pronto a tutto questo, anche per la sola che ti tirerei!
Non sai che ti perdi. il mio corpo entra pure in un marsupio della invicta. pensa che invidia gli amici.
L’invidia sarebbe tanta, ma la prontezza purtroppo non c’è!
a un certo punto ho sperato che finisse come la lezione di ionesco.
Mi sopravvaluti :)
settembre.
Hem… cioè?
a settembre ci si riprova sempre. un classico universitario.
Ahhh… lo vedi che vuol dire frequentare solo osterie?
che poi a me la laurea proprio non mi è servita. se penso a quello che avrei potuto farci con i soldi spesi negli anni fuori corso…accidenti….
Potevi darli a me per esempio. Accidenti.
a te? sto ancora aspettando la foto dell’unghia….
Ah già, che sbadato…
non l’hai ancora pulita, eh?
Ci ho provato ma credo che debba rimediare un po’ d’acido… Se è opaca per te va bene uguale tanto no?
vale di meno, tutto qui.
E se ci aggiungo un po’ di peli del naso?
valgono solo dai 3 cm in poi. ma solo se lisci e chiari. quindi evita roba di dubbia provenienza.
Maledizione, sei troppo furba..
maledetto carter…
Ma poi sei riuscito a tossire fuori il fagiano?
Fof me lo ficoddo.
…dopo il tuo commento precedente, non so che dire… e mi capita raramente…
Il commento del fagiano intendi?
…sì, quello del fagiano, intendo
Non capisco: cosa ti inibisce il fatto che l’abbia ingoiato o il fatto che l’ho ingoiato senza levare le piume?
…la seconda che hai detto, presumo. La sensazione di avere la gola piena di piume, con un fagiano in mezzo, credo… mi inibisca, sì… lo credo. E’ questo.
E’ che quando cerco una metafora mi piace fare il perfezionista…
…le metafore ti vengono bene, ammetto! Ti vengono efficaci.
Ma ho tante altre qualità..
fai un post ed elencale…
Potrei ma non mi viene il titolo.
Yum-Yum! MATTINA “MACCHIATA DI CALDO FLACCIDO”…!!!!!
Dottor Albucci, la prego, si controlli!
A parte l’orrendo neo, peraltro piazzato proprio lì in pieno incipit , beh… è un bel pezzo, intenso, colorito e ricco di invenzioni. Mica da tutti. Mi tocca riconoscertelo.
Con questo, il fatto che ti conceda 5 stelle su 5 lo considero un credito che mi riservo di valere senza pietà sul tuo prossimo post .
Quindi, attento, dottor Balducci. Non vorrei le toccasse di considerare il professor Berardinelli un soave dolce caro buon padre da rimpiangere.
No però adesso sono curioso di sapere cosa non va in quella frase. Cioè troppo barocca? Cose di questo tipo?
Se tu non fossi il tipo accorto che sei (nessuno mi paga per blandirti) non te l’avrei detto.
E infatti complimenti! C’hai azzeccato. Sì, barocca… cosa di quel tipo… proprio.
Hum sì. Hai ragione. E’ che tendo purtroppo, tendo.
Non è vero che tendi, anzi… hai la giusta sobrietà. È una svista dai! Capita e, merda! hai un gemello in fatto di sviste…
Sei il primo che mi chiama sobrio. Mi hai commosso un’altra volta. Grazie.
:-)