Dell’amore

È strano come più ci si allontana dalla giovinezza, più sia difficile spiegare l’amore. Quando si è ragazzi l’amore è una cosa comune, fa parte della quotidianità, come allacciarsi le scarpe, avere fame, pettinarsi. Incontrare gente che ci piace e che ci fa perdere la testa succede con una frequenza altissima, e non ci stupiamo perché, mi ripeto, in quei periodi la consideriamo una cosa comune come bagnarsi quando piove. Ci innamoriamo a sei anni senza nemmeno sapere che lo stiamo facendo, proprio perché l’amore entra nelle nostre vite in modo naturale, senza farci domande né esigere risposte, e proseguiamo a innamorarci a cadenze regolari per un periodo lunghissimo. Poi, per molti di noi, a un certo punto capita sempre di meno di pensarsi innamorati, l’amore perde il suo connotato di evento naturale e diventa altro. Così impariamo a chiamarlo in altri modi: relazione, frequentazione, interesse, affetto, nel tentativo di trovare una parola che lo distingua da quello stato dello spirito che non riusciamo più a replicare ma con il quale ancora identifichiamo l’essere innamorati. Forse, chissà, l’equivoco sta proprio qui, cioè nel chiedere all’amore di essere sempre se stesso, mentre il mondo intorno a noi cambia, le persone che conosciamo cambiano, noi stessi siamo altro rispetto a quando avevamo dieci anni e passavamo le notti insonni a pensare a Claudio della III B solo perché aveva un bel sorriso. Dall’amore pretendiamo una coerenza impossibile da mantenere, e lo consideriamo un traditore dei nostri sentimenti per questo, lo pensiamo infingardo, mentitore. Ad un certo punto della nostra esistenza si finisce perfino per temerlo, e più odiamo quello che è diventato per noi, più ne rimpiangiamo i suoi fasti bramandoli terribilmente, anche se non siamo disposti a scendere a compromessi con il tempo e accontentarci di una di quelle relazioni da adulti, dove la quantità di sentimenti condivisi è più il frutto di un’intermediazione immobiliare che di uno scambio spontaneo e senza vincoli contrattuali. Poi, ad un certo punto della vita, vittime dall’astinenza d’amore ideale, finiamo per scegliere qualsiasi cosa che ci ispiri un sentimento, come soggetto delle nostre passioni amorose. A volte un animale, o un oggetto costoso, oppure una persona che magari non meriterebbe nemmeno la nostra attenzione e che spesso ci conduce lentamente a una sofferenza alla quale non sappiamo opporci.
(da “Morte di un cane affettuoso” di Roberto Albini)
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