Una cena con Dio

di Roberto Albini

Un giorno che in Tv non c’era nulla d’interessante, Dio si voltò verso il mondo e allora si ricordò che tra le cose che aveva creato c’era pure questo. Tentò di focalizzare il momento in cui gli era venuta in mente l’idea di far crescere le braccia e le gambe ai batteri, ma si arrese subito dopo. Ultimamente Dio si annoiava con molta facilità; l’eternità è una scusa perfetta per rimandare le cose da fare, compreso ricordare. “Lo faccio domani, o tra duecento anni, o nella prossima era”, pensava mentre sdraiato su una nuvola di nulla cosmico giocherellava con i riccioli della sua barba. Ma quel giorno, o quella sera (dove vive Dio questi due concetti sono vacui), volle comunque impegnarsi in qualcosa. Così si sporse meglio per osservare quel pianeta con cui passava il tempo, prima, molto prima, che gli venne l’idea di creare le serie televisive.
Allungò la sua super vista oltre l’atmosfera, oltre le nuvole, zummò in una zona a caso mettendo a fuoco prima una grande distesa di terra, poi una città, finché lo sguardo non finì dentro una casa. Lì dentro vide un uomo, che in quel momento stava sdraiato sul letto a fissare il soffitto. Le pareti erano coperte di muffa, e il poveraccio, tutto imbacuccato, provava a riscaldarsi stringendosi stretto alle coperte. Dio si ricordò che aveva inventato il freddo, ma pure il fuoco, e non capì bene perché quel tizio non lo usasse per creare il tepore necessario a non congelarsi. La cosa lo incuriosì, ed erano circa seimila anni che non provava più questo sentimento. Tutto eccitato si mosse per comprendere meglio come si erano evolute le cose in questo sputo di creato. Accese il computer, e cercò su Wikipedia la parola “Umanità”. Lesse con molto stupore tutto quello che quei batteri con le gambe avevano saputo fare durante i millenni nei quali si era distratto con altre faccende: i primi insediamenti, i villaggi, le città, le nazioni; l’agricoltura, il baratto e poi il denaro, i re, i nobili, la plebe, gli schiavi e poi l’industrializzazione, le classi dirigenti, le classi medie, l’economia, il mercato globale e tutto quello che c’era in mezzo, comprese le rivoluzioni, i regimi, le guerre. Trovò tutto molto interessante. Sembrava come se gli esseri umani si divertissero a soffrire, a stare peggio, ad organizzarsi in modo da avere sempre qualcosa di cui lamentarsi, fuggendo in maniera a volte geniale alla semplicità con la quale potevano vivere meglio. A quel punto comprese perché quell’uomo che stava osservando si trovava in quella casa ammuffita a soffrire il freddo. Si chiamava Luigi Minghetti, dipendente della Infissi e Serramenti Fratelli Abbate, con contratto a tempo determinato a scadenza annuale, rinnovabile. Milleduecento euro lorde di gioia di vivere. Dio scosse la testa. “Ma guarda che cazzo di vita fanno questi, con tutta la fatica che ho fatto per inventare la vita”, pensò mentre si arricciava una ciocca di barba, e la prese sul personale. Insomma, lui era sempre il creatore di tutto, in parte si sentì responsabile per l’esistenza del povero Minghetti, e siccome tra tutti i suoi doveri di Creatore c’era anche quello di essere infinitamente buono, decise che doveva fare qualcosa per riscattare il suo onore, almeno con quel poveraccio.
Il Minghetti intanto si era messo a scaldare un po’ d’acqua per prepararsi un piatto di pasta col burro, suo unico alimento gli ultimi quindici giorni del mese. Stava curvo, con una sciarpa intorno al collo, fisso sulla pentola a guardare le penne agitarsi tra le bolle. Dio decise che gli avrebbe concesso un desiderio; lo avrebbe raggiunto e quando si sarebbe trovato di fronte a lui avrebbe compiuto un miracolo. Non sapeva ancora quale, ma era un dettaglio: poteva fare qualsiasi cosa, e lo avrebbe chiesto a Luigi cosa lo avrebbe reso felice. Allora si trasformò in una colomba, bianca splendente. Spiccò il volo attraversando alla velocità della luce intere galassie, girò intorno alla Luna, e scese in picchiata verso casa del Minghetti, che nel frattempo aveva scolato la pasta preparandosi a cenare. Atterrò sul davanzale della sua finestra e prese a beccare il vetro. Minghetti alla vista di quel grosso uccello rimase sbigottito. Al principio non si mosse, per non spaventarlo, limitandosi ad osservarlo mentre Dio continuava a sbattere col becco per farsi aprire. Si alzò lentissimamente dal tavolo, avanzando verso la colomba un passo alla volta poi, appena arrivato alla giusta distanza, spalancò la finestra di colpo e con un gesto rapidissimo afferrò il grasso volatile per il collo spezzandoglielo con un’unica stretta fatale.
“Finalmente carne”, pensò il Minghetti mentre regolava la temperatura del forno a centottanta gradi.