Bucce di banane essiccate al sole

di Roberto Albini

Credo di avere dei debiti nei confronti della poesia. Cioè non è una cosa che mi nasce spontanea, per questo la cerco in ogni occasione, anche se non so perché. Colpa dei libri. Ho imparato che bisogna allenare l’occhio a vedere il mondo secondo un’altra prospettiva, perché altrimenti le cose sono solo cose, gli stati d’animo solamente sbalzi ormonali, la vita nel suo complesso soltanto una serie d’incidenti in attesa della morte. La verità insomma, ma la verità è sempre noiosa, o triste, o inutile, per questo abbiamo inventato la poesia, la religione, la psicologia, Babbo Natale, l’amore. Ci raccontiamo storie per non soffocare di squallore, anzi siamo costretti a farlo.
A me piace l’immondizia. Sarà che dalle mie parti abbonda, ma io ci vedo poesia nell’immondizia lasciata ai bordi delle strade, su marciapiedi crepati, nei pressi dei cassonetti incendiati. La forma che assume la spazzatura cadendo casualmente a terra la trovo struggente. Mi piace fotografare rifiuti e non mi aspetto che qualcuno capisca, perché è giusto conservare e coccolare quell’aspetto di noi incomprensibile agli altri, per non fare la fine delle scatolette di tonno. Non c’è nessuna soddisfazione a fingersi tramonto, quando nella maggior parte dei casi siamo bucce di banane essiccate al sole.
Ma poi, un’estate, mi trovavo in una località balneare. E ho voluto provare. Ho aspettato che il panorama si svuotasse del suo brulicare di corpi adiposi messi a sudare in file organizzate, e sono sceso a guardare il mare. Ha ispirato così tanta gente il mare, perché a me sembra solo acqua? Perché se penso al mare mi vengono in mente solo file chilometriche e coatti tatuati?
Allora mi sono seduto vicino al bagnasciuga, ho iniziato ad osservare la finta infinitezza di quell’orizzonte, cercando di incastrare in quel paesaggio una poesia, una qualsiasi, che mi raccontasse più di quello che normalmente ascolto dai rifiuti. Sono rimasto lì in attesa non so quanto tempo, lo sguardo fisso su una distesa di muto liquido in movimento, cercando di lasciarmi trasportare dall’inutile moto delle onde. Poi a un certo punto accadde qualcosa.
Non mi ero accorto che era rimasta una persona in spiaggia, sdraiata e nascosta dalle ombre del crepuscolo. E’ una giovane donna che prendeva il sole a seno nudo, forse si è addormentata e non si è resa conto dell’ora. Si alza. Il suo corpo interrompe il monotono discorso delle onde, la luce rossastra del tramonto cola sui suoi seni perfetti. Lanciano ombre acute i suoi capezzoli inturgiditi dalla brezza. Si scrolla con le mani la sabbia comprensibilmente aggrappata alla sua carne, e in quel momento mi arriva un’emozione.
O un’erezione.
Ma voi potete chiamarla poesia.