Il ladro di passeggini (Parte V – Dell’igiene su questo mondo)

di Roberto Albini

Il barista lucida un bicchiere con lo straccio. Lo volge in alto verso il lampadario per accertarsi che sia veramente pulito. Un cliente, qualche giorno fa gli ha parlato degli acari, della loro moltitudine e del loro silenzioso operare. Quella stessa notte il barista sognò di avere la casa invasa da insetti grandi come gatti, bianchi e viscidi. Camminavano goffi da tutte le parti, anche sopra il suo letto. Nel sogno uno di quegli esseri orribili gli si era seduto sulla faccia, così che lui, sentendosi soffocare, in preda al terrore e allo schifo, si era svegliato di soprassalto. Si era guardato intorno smarrito e impaurito, ed era tornato a respirare regolarmente solo quando si era assicurato che fosse tutto a posto. Ma da quel giorno iniziò a guardare il mondo con altri occhi. Non si fidava più solo delle apparenze perché, anche se invisibili, intorno a lui si muovevano esseri spregevoli che abitavano gli interstizi lasciati vuoti dalla distrazione, dalla cialtronaggine con cui si giudica innocua una cosa solo basandosi sul suo aspetto. La mattina, giunto al bar, la prima cosa che fece fu quella di cospargere tutto con la varechina, dopo prese uno straccio e iniziò a tergere tutto il locale, ogni angolo, ogni più piccola parte. Passò tutto il giorno compiendo quell’operazione, tanto che le mani, a fine giornata, gli bruciavano e in qualche punto si erano screpolate. Una volta terminato, si mise davanti alla porta a vetri scrutando in cerca di quegli animaletti. Non ne vide nessuno, ma non si rassicurò. Sapeva che anche se aveva vinto quella battaglia, la guerra era una cosa molto più ardua. Gli acari si riproducono velocemente, e si cibano anche dei brandelli di pelle che normalmente perdiamo senza accorgercene. L’unico modo per far scomparire quel tipo di male, sarebbe eliminare noi stessi e tutto ciò che di organico esiste, lasciarli morire di fame, privarli del sostentamento. E nonostante ciò, nessuno è in grado di dire se l’evoluzione non porti quella specie a modificare le proprie abitudini alimentari per sopravvivere. Magari, una volta rimasti soli in mondo totalmente privo di abitanti vivi, gli acari imparerebbero a mangiare le pietre, la terra, così che tutto lo sforzo estremo fatto per sconfiggerli sarebbe solo un altro tragico fallimento dell’uomo.
Il barista pensa che nessuna delle bottigliette colorate che ha nel suo ripostiglio è in grado di garantirgli la perfetta pulizia nel suo locale. Nessuno degli innumerevoli prodotti del genio umano nel campo dell’igiene è veramente utile allo scopo per il quale è stato creato. Allora non gli resta che continuare eternamente a tergere tutto. Ogni giorno, ogni minuto, prendere uno straccio e pulire. Pulire, e ancora pulire, per essere più veloce degli acari, e sperare di ridurre la loro presenza al minimo. Ed è per questo che ora osserva il bicchiere in controluce. Vorrebbe almeno vedere che faccia ha il suo nemico, ma niente: può solo immaginarlo, avvertirne la presenza, essere consapevole di trovarsi circondato e nulla di più. Può solo difendersi, ma non attaccare.
Tutto questo lavoro lo porta a stancarsi presto e spesso. Dopo un po’ ha sempre bisogno di uscire all’aria aperta, respirare profondamente, prendersi una pausa dalla lotta. Allora apre la porta a vetri, ritorna a fissare i lampioni, e poi la strada davanti al suo bar.
L’anziano cliente sta ancora lì. La birra è quasi finita ma non osa chiedergli se vuole dell’altro. Fa finta di non notarlo nemmeno. Lo sente parlare concitatamente, descrivere qualcosa, una storia dove ci sono delle capre e dei nani, ma non riesce a mettere in relazione delle due cose. Poi decide che la pausa è finita. Si volta e il suo bar giace in un apparente silenzio inanimato. Lui però lo sa che quei maledetti stanno lì ad aspettarlo, prendendosi gioco di lui. Forse, nel tempo che è stato fuori, si sono già riprodotti, forse sono anche più numerosi di prima.
Il barista si dirige verso lo stanzino degli attrezzi, prende una bottiglia di varechina con i modi che userebbe un marine nell’impugnare il suo fucile.
Il barista pensa che in fondo non vince la guerra chi uccide tutti i nemici, ma chi resiste, chi non si fa schiacciare dalla loro presenza, chi nonostante sappia di non poter avere mai la meglio, forte delle proprie ragioni, è pronto a sacrificare il suo tempo per difenderle.
E se il mondo che verrà sarà libero dagli acari, allora screpolarsi le mani fino a farle sanguinare sarà stato il giusto sacrificio per una giusta causa.